INFANZIA DI SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

SAN GIUSEPPE DA COPERTINO

DA “LU SANTU LU STRIU” ( IL SANTO IL BAMBINO) PUBBLICAZIONE DI  Mgrazia Presicce, BESA EDITRICE

PH MGRAZIA PRESICCE
PH MGRAZIA PRESICCE

[… ] CAP. 3-4

– Giuseppeee! Giuseppee!

Franceschina, ritta sull’uscio con le mani sul lembo del grembiule per rialzarlo e nascondere lo sporco più evidente, continuava a chiamare il fanciullo che lei immaginava nei pressi.

Poiché Giuseppe non compariva, Franceschina gridò:

– Livia. Liviaaa!

Livia arrivò subito e la madre, preoccupata, le chiese:

– Dov’è tuo fratello?

– Era qui poco fa – rassicurava la bimba mentre si guardava intorno, certa di scorgerlo da qualche parte o in qualche angolo che solo loro conoscevano.

– Ti ho detto che devi stare attenta a tuo fratello. Tu sei più grande e devi stargli dietro. Vai subito a cercarlo e sbrigatevi a tornare! – concluse burbera la madre.

Una comare di passaggio, che aveva assistito alla scena, la tranquillizzò:

– Non ti preoccupare, Franceschina, l’ho visto poco fa sulla piazzetta della chiesa Madre.

Per nulla tranquillizzata, mamma Franceschina si rivolse di nuovo alla figlia esortandola:

– Va’ e digli di venire subito, che mò[1] che torna mi sente. Gli avevo detto di non allontanarsi e quando dico una cosa deve ascoltarmi.

Mamma Franceschina era severa e su alcune cose non transigeva.

– Eh! Cce vuè faci, li strei cussì so[2] – le fece di rimando la comare che poi continuò per la sua strada, mentre Livia si dirigeva verso la piazzetta e mamma Franceschina rientrava in casa contrariata perché Giuseppe non le aveva obbedito.

Di lì a poco, Giuseppe comparve insieme alla sorellina. Entrò in casa.

Appena lo vide, la madre, senza che lui se l’aspettasse, gli allentò due sculaccioni.

– È mezz’ora che chiamo! Ti ho detto che non ti devi allontanare da qui vicino e quando dico una cosa è quella e basta – sentenziò. Poi continuò:

– Ora mettiti lì e non muoverti o guai a te! Mi fai disperare!

Giuseppe a testa bassa e in lacrime andò a sedersi nell’angolo che la madre gli aveva indicato e dopo un po’ si addormentò, rannicchiato su se stesso.

Intanto, tata Felice era tornato dalla campagna. Mamma Franceschina chiamò Giuseppe e, accortasi che si era addormentato, lo svegliò rimproverandolo:

– Ma che fai, dormi? Svegliati, fannullone! Corri ad aiutare lu tata[3] a scaricare la legna!

Giuseppe, ancora assonnato, si levò stropicciandosi gli occhi ed esclamò:

– Pronto, mamma!

Era così che mamma Franceschina voleva essere obbedita ed era così che il ragazzo doveva rispondere quando era chiamato dai suoi genitori per qualche servizio. Sempre “pronto!” doveva dire ed essere.

Giuseppe, però, diceva “pronto!” con la voce ma era molto lento nell’agire. Questa sua indole tarda e pigra, insieme alla sua aria inebetita, spesso faceva andare su tutte le furie mamma; altre volte, invece, era per lei causa di preoccupazione, specialmente quando lo vedeva assorto, con la bocca aperta e lo sguardo perso nel nulla.

La povera donna allora si spaventava rendendosi conto che il figlio era stupido e nel suo intimo si rammaricava per quell’anomalia del ragazzo, che molte volte era motivo di scherno da parte dei compagni di giochi. Essi infatti spesso deridevano Giuseppe e si divertivano alle sue spalle chiamandolo “occaperta”.[4]

Giuseppe a volte sembrava non cogliere le offese dei compagni, ma talora accadeva che, non riuscendo a rispondere per le rime alle ingiurie che comunque lo colpivano come sferze, con estrema abilità faceva loro piccoli dispetti.

Nunna[5] Franceschina! Nunna Franceschina! – gridava da dietro la porta un monello. – Giuseppe, mi ha gettato il berretto nel pozzo!

Era Ciccio,[6] compagno di giochi di Giuseppe e Livia, che piangeva disperato, accusando Giuseppe.

– Se torno senza, mia madre mi darà le botte! – e, continuando a piangere implorava il suo intervento.

Mamma Franceschina uscì sull’uscio e, anche se sapeva che sicuramente quella era stata la reazione esasperata di Giuseppe ai continui insulti che Ciccio era solito fargli, rimproverò ugualmente il figlio per quel gesto.

Non era la prima volta che accadeva. In cuor suo spesso pensava che il figlio avesse ragione, ma era importante per lei che Giuseppe non reagisse così e, poiché con le buone non c’era verso di farglielo capire, non le restava che intervenire in modo brusco.

Tante volte lo aveva ammonito di non gettare i berretti nel pozzo! Tante volte, arrabbiandosi, gli aveva anche detto che avevano ragione i compagni a chiamarlo “occaperta”.

– Se, la tenessi chiusa, quella bocca, non ti chiamerebbero di certo così – gli diceva.

Mentre Ciccio continuava a disperarsi, Giuseppe in un batter d’occhio si dileguava dalla piazzetta, andando a nascondersi in qualche luogo noto solo a lui!

– Livia, dov’è Giuseppe? – chiese mamma Franceschina alla figlioletta.

– Si è nascosto – rispose la bambina.

– Cercalo! – ordinò e, rivolgendosi a Ciccio:

– Non ti preoccupare, che torna ti darà il suo.

E a gran voce cominciò a chiamare: – Giuseppe! Giuseppeee! Vieni fuori! È meglio per te.

Poiché Giuseppe non compariva, continuava a chiamare cercando stavolta di tranquillizzarlo:

– Giuseppeèè! Dai, vieni! Se vieni ora, non ti farò niente. Sono guai per te, altrimenti!

Sapeva che sicuramente era lì vicino e la stava ascoltando.

– Dai! Sbrigati a uscire e dai il tuo berretto a Ciccio – continuò con voce imperiosa.

Era quella allora la punizione, immaginò Giuseppe e così uscì dal suo nascondiglio segreto.

Mogio, mogio, a testa bassa e con lo sguardo scrutatore ricomparve nella piazzetta. S’avvicinò a Ciccio, si tolse il berretto e glielo porse.

Ciccio s’asciugò gli occhi col dorso della mano e, gongolante sotto lo sguardo dei compagni, si mise in testa il berretto di Giuseppe calcandolo bene.

Mamma Franceschina, approfittando del momento di distrazione, afferrò il figlio per la maglia e davanti a tutti gliele diede di santa ragione. La mamma di Ciccio non avrebbe avuto di che lamentarsi, Giuseppe era stato punito a dovere.

La madre lo menava e lui, dimenandosi, cercava di difendersi:

– Mi prende sempre in giro, “occaperta”! – e piangeva mentre cercava di sfuggire dalle mani della madre.

E mamma Franceschina, dura, insisteva:

– Ha ragione a chiamarti così. Tienila chiusa quella bocca!

Tirandolo per un braccio, lo portò in casa, continuando a rimproverarlo:

– Tu solo con le botte capisci, non c’è altro modo per farmi ascoltare. Ma se non cambi e non cominci a comportarti bene, ci penso io a raddrizzarti! – e, convinta della bontà del detto “drizza inchiulieddru, quando è birdiceddru,”[7] non lesinava la sferza nei confronti del figlio.[…]

SAN GIUSEPPE DA COPERTINO, OLIO SU TELA PH MGRAZIA PRESICCE

 

 

 

[1] Adesso.

[2] Che ci vuoi fare, i ragazzini sono così.

[3] Il papà.

[4] Bocca aperta.

[5] Signora Franceschina.

[6] Diminutivo dialettale di Francesco.

[7] Raddrizza il ramoscello quando è ancora verde.

Pubblicato da Maria Grazia Presicce

Maria grazia Presicce vive a Lecce. Artista e autrice di libri di Narrativa per l’infanzia adottati nelle scuole. Scrive su diversi quotidiani e riviste locali. Si occupa di tradizione e ricerca sul territorio. E’ socia della Fondazione Terra D’Otranto che si occupa di Cultura Arte e Tradizioni in terra d’Otranto e nel Salento. ( www.Fondazioneterradotranto.it) Ha pubblicato una ricerca svolta all’interno dell’IBAM ( Istituto per i beni archeologici e monumentali) di Lecce del CNR (Consiglio Nazionale delle ricerche ) : “ L’arte della tessitura Nel Salento l’industria tessile casalinga tra memoria, conservazione e valorizzazione ” di Antonio Monte e Maria Grazia Presicce, CRACE edizioni. Ultima pubblicazione " CCE SSI MANGIA CRAI A DONNAMENGA" EDITRICE MILELLA, LECCE. Il racconto è ambientato a Donna Menga una masseria fortificata dell’Arneo importante territorio salentino dal punto di vista ambientale e luogo di vita contadina ricca di esperienze e valori sociali del ‘900.

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