Nel mondo “stregato” delle bambole

 

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   Lisa quell’anno come regalo alla Befana dei nonni aveva chiesto, per la prima volta, una bambola.

   L’aveva tanto desiderata e sperava proprio di essere accontentata, anche se nella letterina aveva precisato “ sempre se è possibile cara Befana, altrimenti non fa niente.”

   La vigilia della Befana aveva sistemato la letterina nella sua scarpa sotto il camino e, speranzosa, era andata a dormire… al mattino

   […].[1] “Entrammo in cucina e…sorpresa! Il piano del camino era invaso da pacchetti e pacchettini, tutti in bella vista, ognuno vicino a una scarpa. Aprii subito il mio, il pacco più grosso.

Nella scatola una bambola bellissima, bionda e con gli occhi azzurri, mi guardava sorridendo. Indossava un vestito di organza rosa con tanti nastrini di raso lucido, le calzine bianche e le scarpette nere con una cinghietta che le abbottonava sul lato e in testa un bel fiocco rosa.

Era bellissima ed io al colmo della felicità. Non avevo mai posseduto una vera bambola! […]”

   La bambola per Lisa rappresentava il sogno, l’amorevolezza, la certezza.

   Averla ricevuta in regalo dalla Befana dopo una semplice richiesta, significava essere stata considerata da quella enigmatica e fantastica vecchietta! Il solo pensarlo le dava una gioia indicibile, non era facile avere un po’ d’attenzione tutta per sé in una famiglia numerosa come la sua, dove l’attenzione, a pezzetti, era ripartita tra ben sei fratellini.

   Piano sfiorava ogni parte dell’oggetto bramato.

   Era davvero bella la sua bambola e agli occhi di Lisa pareva ancora più bella, non ce n’era di uguali e non esisteva raffronto nel mondo senza paragoni di Lisa. In quel mondo, nel suo mondo, non c’era la tv, non c’era la pubblicità che incitava al raffronto come avviene nell’attuale società.

   Quella bambola Lisa l’avrebbe solamente adorata custodendola nel tempo. Le sarebbe bastato guardarla di tanto in tanto per sentirsi rincuorata e colmata d’affetto e considerazione. Non avrebbe giocato con lei per non sciuparla: erano altro i giochi di Lisa.

   Lei correva libera nella natura e i suoi svaghi appartenevano ai prati ai fiori alle farfalle al sole alle nuvole al vento…poi quando un momento di tristezza l’avrebbe invasa, le sarebbe bastato pensare alla bambola, alla sua bambola conservata ancora intatta nella scatola di cartone e il suo cuore, come per incanto, avrebbe gioito e la tristezza in un flash svanita.

   Quella bambola vestita di rosa e di bianco possedeva la suadente malia dell’elogio e un dono prezioso: la fiducia in se stessi. Quel semplice oggetto muto era la sicurezza nel mondo di Lisa, in un mondo, dove ancora non dominava l’inquinamento dell’oggetto-giocattolo, quando i bambini, erano solo bambini nella schiettezza dell’essere senza artifici.

   Il mondo, poi, d’un tratto è mutato e con lui quel bambino prima in-considerato.

   L’infanzia obliata è diventata, di colpo, al centro di ogni attenzione e, il bambino, considerato bambolotto e bambola di una società consumistica che l’ha posto su un piedistallo e, nel bene e nel male, l’hanno manovrato, vezzeggiato e usato, spesso, come balocco, come una… bambola.

   In effetti, la troppa attenzione al bambino, al suo mondo e al sentimento dell’infanzia è un fenomeno della società moderna, nei tempi passati il figlio era neonato, pargoletto, creatura innocente per una madre, solitamente, sempre presente in una società rassicurante e partecipe.

   Secondo Philippe Ariès il bambino è stato posto in primo piano dagli adulti nel momento […]

“ in cui la famiglia, col bambino al centro, eleva tra sé e la società “la muraglia” della vita privata. “[…][1]

   Neil Postman è invece convinto

“ che la “scoperta” dell’infanzia sia dovuta all’invenzione della Stampa […] l’infanzia divenne perciò una “categoria ritagliata” dal mondo adulto. Inizia così una fase – che continuerà sino ai nostri giorni – in cui questa nuova categoria sociale è resa oggetto di considerazione crescente, di protezione e cure, (soprattutto) materne, ”[2]

   L’attuale società, però, presenta anche gigantesche contraddizioni poiché, mentre da un lato il bambino è colmato da mille premure, dall’altra parte ci troviamo di fronte al fenomeno dell’infanzia abbandonata, oltraggiata, lesa e strumentalizzata.

   Il bambino, così adorato e viziato, è spesso trattato come un oggetto, come una bambola, un gioco per adulti.

   L’avvento del mezzo televisivo con la sua mediocrità di programmi e con la spettacolarizzazione della vita privata, ha contribuito a far languire qualità e forme di cultura della nostra società a sfavore dell’innocente figura del bambino, trasformandolo in bambolotto.

   La tv dà priorità alle immagini tralasciando la sostanza degli argomenti, fornendo alle famiglie informazioni e realtà manipolate, prive spesso di essenza, d’insegnamenti e valori.

   Non è più quindi solo la famiglia e la società che la circonda maestra di vita e punto di riferimento, ma altro.

   La società intorno al nucleo familiare non esiste più, la televisione le ha sostituite divenendo strada maestra per un’infanzia educata dalle sue immagini-gioco adottate come verità perentorie, immagazzinandole e facendole proprie. In questo modo, i bambini, diventano gioco nel gioco degli adulti e pupazzi, bambole da esibire ed ostentare insieme.

   Questo mondo, ingannevole, fittizio e dal facile guadagno, ha ormai preso sopravvento nelle immagini televisive che, senza sosta, bombardano e lusingano a tal punto che il bambino è divenuto, per madri ma, spesso anche per padri, oggetto da ammirare ed esporre e su cui riversare sogni e speranze.

   In questo modo l’infanzia ne esce svilita e deformata in nome degli affetti più cari, in nome di un rapporto familiare presente e vitale che di vitale, però, ha solo il protagonismo, il guadagno, il voler apparire bambolotti, privati di una memoria innocente, di una vita di giochi, alterata da concetti inculcati da chi dice di amare suo figlio e non s’accorge di annullarlo finanche nei sogni.

   Per penetrare maggiormente questa società che s’appropria dell’infanzia e della sua essenza usandola come bambola- gioco, basta partecipare e osservare il mondo della moda e le tante sfilate organizzate per l’abbigliamento dei bambini, o altro genere di spettacoli proposti dalla tv.

   Nelle passerelle bambine e bambini, e più spesso la bambina, divengono pupattoli inanimati, pupi da vestire e svestire a piacimento.

   E smettiamola col dire che per il bambino è un solo gioco!

   Chi si occupa di tali spettacoli-business sa benissimo che gioco non è. Sicuramente è una “mossa” vincente per chi questi eventi li organizza e, per quei genitori che accompagnano i figli a queste sfilate senza rendersi conto che questo “giocare” del bimbo, è solo il gioco del proprio insuccesso personale e la realizzazione del proprio sogno, attraverso la carne della propria carne. Ma, a che prezzo però?

   Osservate come  quei bambini-bambolotti si muovono sulle pedane, agghindati a festa come manichini esposti in vetrina, paiono inanimati, addestrati ad un gioco che non li appartiene…appunto bambole inarticolate, legate sul fondo della scatola-pedana da lacci invisibili.

   Stringhe che, li stessi familiari con l’appoggio di altri. tirano dimentichi dei desideri del figlio che, perso su quella sfavillante pedana, non volge nemmeno lo sguardo per cercare tra la folla plaudente, quello rassicurante del genitore, anche lui perso nel luccichio della scenografia.

   Madre e padre celati tra tanti, non saranno più sguardo ed esempio per quel figlio-bambolotto, figlia-bambola che avrà altri sguardi ingannevoli in cui specchiarsi e identificarsi.

   Così la famiglia perde sempre più prestigio, dignità e identità in una società dell’effimero, dello zero assoluto. Mio Dio quanta pochezza!

   Tutto scompare dinanzi all’ambizione, al denaro facile. L’avidità del guadagno tarpa completamente il candore del pensiero delle madri e dei padri anche per la propria carne.

   A questo punto, si spera, che sia il bambino con la sua innocenza a prendere coscienza della situazione facendo emergere la voglia del vero gioco, del semplice giocare-giocoso e, dando libero sfogo ai suoi naturali impulsi, si ribelli al sogno degli altri, al sogno di chi decide per lui, per riuscire a divellere i legacci e divenire un domani uomo libero e migliore di chi l’ha generato.

[1] Philippe Arìes (Blois, 21 luglio 1914Tolosa, 8 febbraio 1984) è stato uno storico e filosofo francese. È stato un importante medievalista, nonché storico della famiglia e dei costumi sociali. http://it.wikipedia.org/wiki/Philippe_Ari%C3%A8s

 

[2] Neil Postman (New York, 8 marzo 1931New York, 5 ottobre 2003) è stato un sociologo statunitense, professore elementare, teorico dei mass media e critico della cultura contemporanea.

http://it.wikipedia.org/wiki/Neil_Postman

 

 

[1] Maria Grazia Presicce “ Sogno e risveglio di Lisa” Besa editrice, pag. 129

 

Pubblicato da Maria Grazia Presicce

Maria grazia Presicce vive a Lecce. Artista e autrice di libri di Narrativa per l’infanzia adottati nelle scuole. Scrive su diversi quotidiani e riviste locali. Si occupa di tradizione e ricerca sul territorio. E’ socia della Fondazione Terra D’Otranto che si occupa di Cultura Arte e Tradizioni in terra d’Otranto e nel Salento. ( www.Fondazioneterradotranto.it) Ha pubblicato una ricerca svolta all’interno dell’IBAM ( Istituto per i beni archeologici e monumentali) di Lecce del CNR (Consiglio Nazionale delle ricerche ) : “ L’arte della tessitura Nel Salento l’industria tessile casalinga tra memoria, conservazione e valorizzazione ” di Antonio Monte e Maria Grazia Presicce, CRACE edizioni. Ultima pubblicazione " CCE SSI MANGIA CRAI A DONNAMENGA" EDITRICE MILELLA, LECCE. Il racconto è ambientato a Donna Menga una masseria fortificata dell’Arneo importante territorio salentino dal punto di vista ambientale e luogo di vita contadina ricca di esperienze e valori sociali del ‘900.

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