AL POETA SALENTINO G. COMI E ALLA SUA POESIA

 

PH MG P
” L’ALBERO” RIVISTA FONDATA DA GIROLAMO COMI

 “ECCO IL MIO TRONCO” poesia di G. Comi

Interpretare, commentare i versi di un poeta non è semplice come di primo acchito si può pensare, anche perchè delle semplici parole possono racchiudere l’universo, un mondo, secondo il mio punto di vista, difficile da penetrare nei suoi anfratti più oscuri, nelle sue sfumature più ampie e aerografate che vanno oltre il pensiero e l’emozione di chi scrive. Chiosare una poesia? Sembra facile. Ma, come si può?

Che cosa conosce dell’autore  chi si appresta a spiegare una sua poesia?

Chi ha conosciuto o conosce il suo universo interiore, la profondità del suo pensiero e quello che il suo animo ha compreso se, tanto spesso, nemmeno da solo ognuno di noi riesce a chiarirsi e penetrare le sue sensazioni più recluse?

E poi versi, rime, poesia che cosa sono per ognuno di noi, come vengono intesi da ognuno ?

In questo momento, pare che questa società sia stata colta da una sorta di frenesia del poetare, ma per il vate, il cantore che sa, magistralmente, verseggiare e giocare con frasi e parole, la poesia cos’è?

Che sia solo un modo per rimanere sulla cresta dell’onda anche quando ormai non c’è più? UHHMM!! Troppo scontato!

Immagino che ad ispirare il poeta, siano le varie situazioni che possono a tratti attraversare e fondersi con la vita: momenti di gioia, dolore, momenti che il cuore non sa e non riesce a trattenere, quei momenti intimi che non sai a chi confidare, quegli attimi in cui senti il cuore scoppiare …ed allora?…allora ecco sovvenire un amico fidato, un confidente: il foglio bianco! Un semplice foglio candido e puro come il nostro cuore nel giorno della prima comunione.

E’ quel foglio bianco che improvvisamente attira come calamita ed è pronto a raccogliere emozioni e sensazioni che potrai decidere di conservare per rileggerle, potrai decidere di accartocciare e buttare nel cestino o in mezzo ad un campo cosicché la pioggia, il sole il vento la rugiada la luna le stelle lo possano leggere o giocarci fino a farlo dileguare e divenire parte della natura e tornare nel suo ciclo vitale.

Foglio amico, servitore fidato, che piange ed esulta con noi, foglio confessore che assolve e dissolve le nostre ansie, le nostre paure, le nostre angosce… che addolcisce le nostre lagrime e come balsamo allevia.

Se poi, quel foglio, deciderai di tenerlo potrà divenire testimonianza e testimone e allora quanta importanza potrebbe assumere quel foglio bianco!

Quei ghirigori che hanno impiastricciato il candido lenzuolo, d’un tratto possono assurgere ai più alti allori e divenire testimoni, spettatori e osservatori assoluti di sensazioni che a nessun amico sarebbero mai stati svelati.

E il poeta continua a poetare, arabesca ed inghirlanda il suo bianco foglio di frasi enigmatiche, sfuggenti; struggenti afflati che parlano a lui e solo a lui si rivelano, ma si celano agli altri e giocano a nascondino, si camuffano, indossano la maschera e a tratti non amano mostrarsi.

Sono, i versi, parole che esprimono il pensiero di chi le ha scritte, ma vogliono rimanere, comunque misteriose, e pur nella loro semplicità, si proteggono divenendo inaccessibili agli altri…ed allora?

Noi sopravissuti leggendo, proveremo ad interpretarle, ci sforzeremo di capirle, cercheremo di camminare sul sentiero del poeta e penetrare nell’intimo delle parole, per poter scrutare nel suo animo, compenetrandosi nel suo io per far nostra l’essenza dei suoi versi ma… mai potremo

riuscirci del tutto perché, l’impenetrabile IO, resterà velato, protetto dai teoremi arabescati dell’autore e così sarà l’io del commentatore a venir fuori, la sua interpretazione, l’esegesi di chi, in quel momento legge.

L’essenza del poeta resterà sul suo “sentiero”, la semantica di ogni sua parola rimarrà celata e sarà l’essenza del chiosatore, il senso che egli avrà voluto dare alle parole del poeta, ad uscire allo scoperto e questo perché chi legge o interpreta non potrà sapere a che ora, in quale circostanza, su quale prato, sotto quale cielo, vicino a quale mare, in quale camera, su quale talamo, in quale luminosità il poeta ha voluto imprimere quei segni, quelle rime sul foglio; rime che attirano ora l’attenzione di tanti e a cui tanti vorrebbero dare un significato, un senso.

Ma perché tutta quest’attenzione? A che pro?

Solo per aver percepito un’emozione nella lettura di un verso del poeta, immaginiamo di averne captato la realtà, di averne carpito l’umore, l’afflato e l’amore delle sue parole scritte sul sentiero di quel foglio bianco.

Non vi sembra, cari chiosatori, di peccare di presunzione? Il poeta è stato, quel poeta non è più tra noi.

Sono solo rimaste le sue parole sul foglio bianco a testimoniare il suo passaggio, a condurci sui sentieri del suo vivere. Ma, il foglio e le parole non sono il poeta, non sono Girolamo; sono, fanno parte di lui, ma non sono l’uomo poeta, sono solo arabeschi del suo pensiero, percezioni intime del suo essere, ma anche di più, tanto, molto di più.

Quel tanto o poco che va oltre il nostro intendere, però, non lo conosciamo e non possiamo più verificarlo, né potrà conoscerlo colui che s’immagina essere stato suo amico e confidente; i sentimenti, come i versi di un “qualunque” poeta, restano suoi anche se impressi sulla carta. Dobbiamo, però, ritenerci fortunati perché attraverso il suo poetare lo percepiamo, cogliamo la sua presenza, sappiamo che c’è stato, sappiamo delle sue sensazioni e di come le ha provate sulla pelle e riportate sulla pagina, mentre il cuore dettava e la mano scriveva ma, pur avendo tanti riferimenti di lui, quel foglio ha conservato solo le sue emozioni personali epidermiche, trepidazioni di cui nulla si sa, sicuramente diverse da chi, dopo, deciderà di interpretare il suo scritto.

Il poeta scriveva ed erano, quegli, attimi intimi inenarrabili, momenti sensazionali, magici…chissà forse era un’alba…forse un tramonto, durante un temporale …. una notte insonne davanti ad una tazza di caffé o ad un bicchiere di vino…

Chissà!… forse, sarà uscito sul balcone o sceso in giardino col bicchiere in mano e, spiando tra le chiome degli alberi la luce della luna che si stemperava nel creato, avrà avvertito un palpito improvviso, un’emozione forte ed inattesa che non poteva trattenere, che lo spronava ad imprimere parole e tenerezze sul bianco foglio, affinché non sfuggissero e restassero lì, prigioniere nei righi, avviluppate nel suo intimo.

Era il poeta, in quel frangente, intriso di così prepotenti emozioni che sicuramente nemmeno la bianca pagina bastava a contenere, né poteva avvertirle e riportarle integre; le parole mancavano per esprimere l’intensità di quell’attimo, ed il bianco sentiero non riusciva nemmeno a trattenerle e una parte rimaneva indietro, nel profondo del cuore come annichilita e si nascondeva. Accadeva allora che quella seminata rappresentasse solo la millesima parte di quell’emozione che dentro il cuore esplodeva.

Il poeta lo sa, Girolamo sa che è vero, che a volte le parole non bastano per esprimere un’emozione e un foglio bianco, grande anche quanto un lenzuolo, non basta a racchiuderla. Ci vorrebbe un foglio grande quanto il cielo, quanto l’intero creato….ma non si può avere…il cielo resta cielo …il creato resta creato di fronte al quale siamo nullità assolute, così come l’emozione che dentro ti scuote, appartiene a te e solo a te e nessuno potrà mai portartele via, né alcuno mai potrà provare la “tua” emozione che resterà perciò unica e nessuna parola potrà mai includerla tutta, proprio come l’emozione del poeta.

L’emozione la puoi affidare al vento, alla pioggia, al sole, alla luna, al cielo e sono loro che potrebbero,forse, restituirtela un’altra volta integra, quando il poeta vorrà di nuovo cogliere e assaporare quel momento riscoprirlo, riappropriarsene e custodirlo. Anche allora, comunque, quell’emozione sarà differente anche per lui, non potrà mai ritrovare la stessa, Girolamo, n’è consapevole e sa anche che, pur imprimendola ancora una volta sul candito foglio, l’emozione avrà altre vibrazioni, sarà una sensazione diversa anche se sempre unica ed incomparabile.

E quindi, se anche il poeta è cosciente di questo, come può un “chicchessia” interpretare e commentare le sue emozioni?

Illusioni…pura utopia…..ognuno leggerà la lirica del poeta e, verso dopo verso, immaginerà, s’illuderà di comprenderla fino in fondo e carpirne l’intimo umore, ognuno cercherà di imporre la propria definizione, il proprio senso, ma… e il senso del poeta? La percezione di Girolamo qual era?

Ecco leggiamo alcuni versi di una sua poesia:

                          “” Ecco il mio Tronco: steli, frutti e carne””

                             Ed echi sordi di succhi e di cieli

                            Antichità di giovani risvegli

                           Nel peso universale del mio sangue” 

Scrive, il poeta Comi, “Tronco” con la lettera maiuscola, perché?

Si riferisce, forse, al suo di “Tronco”; al suo “Tronco” di nobile discendenza che egli, in qualche modo, ha dissacrato in gioventù col suo comportamento?

Potrebbe, anche, riferirsi al “Tronco” maestoso di un albero di ulivo, di cui sono piene le nostre campagne salentine. E, perché no?…potrebbe anche, la parola, racchiudere entrambi i significati; infatti, l’immaginario “tronco” possiede “ steli frutti carne”.

L’accostamento dell’ulivo con rami (steli) e olive (frutti) potrebbe starci a meraviglia poi, però, aggiunge “carne” ed anche con albero ci sta bene; potrebbe, infatti, fare riferimento agli uccelli che vi nidificano, anch’essi sono di “carne” come l’uomo, come Girolamo.

Il riferimento, però, può essere al suo di corpo, con le braccia, “ steli ” e i “frutti”, i pensieri racchiusi nella sua mente; riflessioni che come echi si perdono nell’infinità del cielo, così come il canto degli uccelli sugli alberi si spande nell’intero universo e, come il vetusto albero dell’ulivo, in primavera si risveglia e rinnova i suoi germogli, così il poeta avverte nel suo intimo il risveglio di nuove sensazioni gravate dal rimpianto “ giovani risvegli”, rimpianto che si porta dentro e che giorno dopo giorno, forse, diviene sempre più ingombrante e pesante “ nel peso universale del mio sangue”. O forse riferendosi ai frutti pensa ai suoi affetti e, in particolare al suo “frutto” ?… sua figlia….

Ma, era poi davvero questo che il poeta intendeva con le sue parole?

La certezza non l’avremo mai.

Può darsi che in quel momento, Girolamo, fosse un po’ triste, forse pensava al suo passato, forse pensava ai suoi genitori, forse pensava a sua figlia, forse…forse…forse…forse immaginava che la sua vita avrebbe potuto avere un altro corso…chissà!

Dov’era egli quando scriveva questi versi? Davanti uno specchio? Steso sul letto a fare una pennichella e d’un tratto prendendo coscienza del suo corpo e del tempo che trascorreva aveva voluto fare questo paragone?

Forse… era davvero un intimo momento di tristezza, ma sarà stato solo un istante se subito dopo si riscuote e continua:

                         “” ecco il mio Tronco che grezzo detiene

                              Attributi d’essenze e di vigore

                               sia che s’addorma o canti di fulgore

                               Per tutti i rami ed in tutte le vene.””

E il “Tronco”, però, che ritorna ed è sempre il riscontro col “tronco grezzo” e ruvido come quello dell’ulivo e, come l’ulivo con le sue chiome maestose si impone in tutto il suo vigore, così egli,mentre dormiva,  risvegliandosi improvvisamente, ripensa al suo sacrificio nel formarsi e rimira l’opera che è riuscito a creare e, riscuotendosi, prende coscienza di sé, del suo corpo e sente di possedere oltre a tanta vitalità anche un’integerrima morale che adorna e fortifica il suo io, irradiandosi per tutto il corpo, penetrando fin nelle vene, così come la linfa dell’albero benefica e vivificante risalendo dalle radici, s’irradia e si sparge nei rami anche durante la stagione invernale, quando l’albero dorme.

E allora? Cos’è questa sua poesia?

E’, forse, un inno alla vita, alla natura che tanto amava, un inno al suo io, un inno al suo corpo, un inno alla sua intelligenza? O, forse, è un inno all’ulivo simbolo del suo prediletto Salento?

Chi lo sa? Chi, mai, potrà scoprirlo veramente?

 

                                                                     Maria grazia Presicce

 

 

Pubblicato da Maria Grazia Presicce

Maria grazia Presicce vive a Lecce. Artista e autrice di libri di Narrativa per l’infanzia adottati nelle scuole. Scrive su diversi quotidiani e riviste locali. Si occupa di tradizione e ricerca sul territorio. E’ socia della Fondazione Terra D’Otranto che si occupa di Cultura Arte e Tradizioni in terra d’Otranto e nel Salento. ( www.Fondazioneterradotranto.it) Ha pubblicato una ricerca svolta all’interno dell’IBAM ( Istituto per i beni archeologici e monumentali) di Lecce del CNR (Consiglio Nazionale delle ricerche ) : “ L’arte della tessitura Nel Salento l’industria tessile casalinga tra memoria, conservazione e valorizzazione ” di Antonio Monte e Maria Grazia Presicce, CRACE edizioni. Ultima pubblicazione " CCE SSI MANGIA CRAI A DONNAMENGA" EDITRICE MILELLA, LECCE. Il racconto è ambientato a Donna Menga una masseria fortificata dell’Arneo importante territorio salentino dal punto di vista ambientale e luogo di vita contadina ricca di esperienze e valori sociali del ‘900.

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